LA ZONA DI INTERESSE

ven 1 mar (15.30 – 18.00 in italiano) (21.00 v.o. con sottotitoli in italiano)

di Jonathan Glazer
con Sandra Hüller, Christian Friedel, Ralph Herforth
Polonia/Regno Unito/Stati Uniti 2023, 105’

Gran premio della Giuria a Cannes 2023; candidato a 5 premi Oscar (miglior film, miglior film straniero, miglior regista, miglior sceneggiatura non originale, miglior sonoro)

Un uomo e sua moglie tentano di costruire una vita perfetta in un luogo apparentemente da sogno: giornate fatte di gite in barca, il lavoro d’ufficio di lui, i tè con le amiche di lei e le scampagnate in bici con i figli. Ma l’uomo in questione è Rudolf Höss, comandante di Auschwitz, e la curata villetta con giardino della famiglia si trova esattamente di fianco al muro del campo…

A dieci anni di distanza da “Under the skin”, acclamato universalmente come una delle opere che ha meglio colto le inquietudini della contemporaneità, Jonathan Glazer si ripresenta con la trasposizione dell’omonimo romanzo di Martin Amis: una prospettiva inedita e uno sguardo nuovo, con stile altissimo, per riflettere sulla perdita dell’umanità e sulla banalità del male. La denominazione “zona di interesse” – interessengebiet in tedesco – usata dalle SS naziste per descrivere l’area di 40 chilometri quadrati immediatamente circostante il complesso di Auschwitz, alla periferia di Oświęcim, in Polonia, è stata usata nel 2014 da Amis come titolo per il suo romanzo cupamente picaresco che alterna le prospettive tra collaboratori, esecutori e detenuti. In esso, un personaggio descrive la “zona” come analoga a uno specchio che rivela il proprio vero volto. Nel suo adattamento cinematografico Glazer si dimostra meno interessato alla riflessione che alla repressione. Il suo è infatti un film su personaggi che rifiutano fermamente di vedere sé stessi; l’identificazione e la consapevolezza potrebbero facilmente farli impazzire. Glazer immerge lo spettatore nella ridente e ben curata negazione della prospera e rampante famiglia Höss, il cui patriarca Rudolf è il comandante del campo. La locazione degli Höss, generosamente sovvenzionata in una villa immacolata su due piani, giustappone una fantasia ariana bucolica alla realtà da incubo su cui è stata (letteralmente) costruita. In questo finto Eden, gli Höss si sforzano di raggiungere la normalità. La rappresentazione dell’atrocità storica è una proposta complessa affrontata da registi come Resnais, Spielberg e Tarantino, e Glazer opta per una forma audace di inversione: lavorando su materiali storici rigorosamente ricercati il regista ha creato una pietra miliare nella storia dei moderni film sull’Olocausto, i cui orrori rimangono circostanti ed effimeri senza banalizzarne la gravità o diluirne il potere di turbare. In modo cruciale (e paradossale) è l’assoluta e severa piattezza della regia – il posizionamento calmo e implacabile della macchina da presa sotto la luce naturale – a testimoniare la gravità dello scenario. Il suo andamento preciso è il sottoprodotto di un metodo di produzione unico, che ha visto il regista e il suo team utilizzare fino a dieci telecamere fisse (controllate a distanza da una squadra di cinque macchinisti) per girare le scene contemporaneamente in diverse stanze del set. Senza troupe presente e con l’apparato di ripresa prudentemente incorporato nella scenografia, gli attori hanno potuto muoversi in totale libertà all’interno di un sistema meticolosamente costruito, con Glazer che osservava diversi monitor da una roulotte dall’altra parte del muro. Il film affronta di petto l’idea del genocidio e la osserva da dentro una serie di paraocchi accuratamente applicati, che mettono in crisi i comfort del senno di poi e della storia. Per tutte le sue sequenze di contenimento – porte che si chiudono, cose e persone che vengono messe al loro posto – “La zona d’interesse” è radicalmente aperto e rifiuta di chiudere la porta alla storia. Rimane pericolosamente, eternamente non chiuso.