FREMONT

Ingresso 6€ soci ordinari, 5€ soci sostenitori

mar 9 lug 18.00 – 21.00,
mer 10 lug 18.00 – 21.00

di Babak Jalali
con Anaita Wali Zada, Jeremy Allen White, Gregg Turkington
USA 2023, 88′

Donya, ragazza giovane e affascinante, è un’ex traduttrice afghana che ha lavorato per il governo degli Stati Uniti. Afflitta da insonnia, vive sola nella città californiana di Fremont, in un edificio frequentato da altri immigrati afghani. Solitamente, trascorre le sue serate da sola in un ristorante locale, immersa nelle trame delle soap opera. La sua vita prende una svolta quando viene promossa nella fabbrica in cui lavora a scrivere i messaggi all’interno dei biscotti della fortuna. Mentre le sue parole vengono lette da sconosciuti in tutta la Baia, il suo desiderio tenacemente soffocato la spinge a lanciare un messaggio nel mondo, incerta sulle conseguenze che potrebbe portare…

«Il cinema indipendente americano sta attraversando una sorta di ‘golden age’, grazie a una poetica lontana dall’assuefazione dei contenuti e più vicina alla sostanza, a una narrazione linguistica che mischia i sorrisi alle lacrime, restando addosso senza un apparente motivo. Con “Fremont” arriva quella sensazione di leggerezza, come se per un istante fosse tutto più chiaro. La vita, il destino, l’amore. Il cinema che semplifica la vita. Diretto da Babak Jalali, e scritto dal regista iraniano insieme all’autrice italiana Carolina Cavalli, “Fremont” è anche un film politico, una politica sfumata di sociale, che ritrae una generazione in continua lotta per non soccombere, costretta ad andare “comunque avanti”».
(Damiano Panattoni)

«Questo film parla di una persona immigrata in un nuovo Paese ma, naturalmente, non esiste un’esperienza uniforme di immigrazione. Ogni individuo ha ragioni diverse per partire e ogni individuo ha i propri sogni e desideri per il futuro nella sua nuova casa. Spesso è il passato a dettare il presente e per chi riparte da zero in un posto lontano da casa, il passato non è mai veramente alle spalle. Con questo film voglio guardare oltre l’idea che esistano differenze radicali tra gli esseri umani. In un mondo in cui si cerca tanto di descrivere le differenze e di esagerare l’alterità, è importante guardare alle somiglianze universali. Un immigrato e un non immigrato condividono molte delle stesse speranze, sogni e ambizioni. La protagonista di questo film, Donya, una giovane donna grintosa ed ex traduttrice per l’esercito americano, ritiene di essere nel posto in cui si trova a causa delle sue scelte di vita. Ma questo non significa che non soffra o non si senta sfollata. È determinata a cambiare le cose. Vuole essere impegnata. Vuole essere a suo agio. Vuole innamorarsi. E vuole essere accettata. Come la maggior parte delle altre persone. Anche se questo film tratta la situazione di una traduttrice afghana e della sua nuova vita in America, lo stile del film non è ascrivibile al realismo sociale. L’osservazione delle assurdità dell’adattamento culturale e dei sentimenti di dislocazione può essere presentata anche attraverso il regno dell’umorismo. Infatti, sebbene i temi trattati possano essere a volte oscuri, c’è umorismo anche nell’oscurità e, come regista, questo elemento di leggerezza è sempre stato importante per me. Mostrare umorismo in situazioni cupe non sminuisce la serietà o la profondità di una storia. Può renderla ancora più reale e aggiungere strati. Come dice il proverbio: ‘Chi piange ha solo un dolore. Ma chi ride ha mille e un dolore…’».
(Babak Jalali)